Lo spagnolo nel mondo

– Guarda, amico!
   Oggi la bandiera è viola…
   Che vuol dire?

– Che porti gli occhiali da sole.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, lo spagnolo non è una lingua facile da imparare. Anche per un italiano può risultare difficile, sebbene l’italiano e lo spagnolo si assomiglino molto. Inoltre bisogna tener presente che lo spagnolo che generalmente si studia è quello castigliano. In realtà ci sono molte più varianti nel mondo che tra di loro hanno notevoli differenze soprattutto di vocabolario, ma anche morfosintattiche in alcuni casi.

Prendiamo come esempio questa vignetta di Fernando Rocchia che ho già tradotto e pubblicato sul mio account Instagram (@zanessis_traduzioni). Nello spagnolo standard “viejo” significa “vecchio”. Tuttavia, viaggiando nei vari paesi latinoamericani si scoprono significati diversi della stessa parola. Così in Argentina e in Perù si usa per riferirsi al papà in modo affettuoso, mentre in Messico significa “amico” (sarebbe l’equivalente dell’inglese “bro”).

Anche dal punto di vista morfosintattico possiamo notare una notevole differenza. Rocchia, autore argentino, scrive “tenés puestos”. “Tenés” è la seconda persona singolare dell’indicativo presente del verbo “tener”, ma solo in America Latina poiché nello spagnolo castigliano è “tienes”. Pertanto la desinenza -és viene usata per la seconda persona singolare dell’indicativo presente di tutti i verbi, ma solo nello spagnolo delle varianti latinoamericane. In modo analogo, il “tú” spagnolo castigliano è sostituito dal “vos” in tutta l’America Latina…da non confondere con il nostro “voi”!

Quindi capite che le varianti dello spagnolo del continente americano richiederebbero di per sé uno studio molto approfondito…

Un neologismo come soluzione

– Perché i cacapo profumano come il miele?

– Per poter trovare dei compagni.

– Ma perché il miele? Chi…

– Oh, qualcuno ha un buon profumino!

– Ho capito!

– Ho un debole per quelli positivi a quattro zampe.

In questa vignetta di Guy Kopsombut la traduzione fila liscio fino all’ultima battuta. Lì c’è la parola inventata “pawsitive”, composta da “paw” (zampa) e “positive” (positivo). Siccome in italiano le due parole sono molto diverse, non si potrebbero unire allo stesso modo.

Per far fronte a questa impasse, si può ricorrere alla trasposizione letterale, ovvero all’adattamento diretto dei fattori responsabili dell’effetto umoristico. In questo esempio si mantiene il riferimento a “positivo” e le zampe diventano quattro poiché alludono all’orso. Qui si vede come il codice visivo gioca un ruolo fondamentale nella scelta traduttiva.

Tuttavia, come si vede nella parte del dialogo evidenziata in grassetto, tale strategia quasi sempre richiede molto più spazio. Questo può essere un problema perché la nuvoletta che include la battuta non è abbastanza grande.

Il problema diventa ancora più grosso quando si traducono i sottotitoli, dove i limiti spazio-temporali sono molto stringenti. In altre parole, in ogni riga di un sottotitolo c’è un limite massimo di caratteri da rispettare che a loro volta influiscono sulla velocità di lettura, un valore che, se troppo alto, non agevola lo spettatore il quale rischia di non fare in tempo a leggere tutto il testo. Dunque, se si traducono letteralmente singole parole inglesi, spesso e volentieri la versione italiana esige l’impiego di molte più parole. Per esempio “moonwalk” si traduce per forza con “passeggiata sulla luna”. Capite anche voi semplici spettatori che una traduzione così lunga può occupare troppo spazio in una riga di un sottotitolo!

Infine, per tornare alla vignetta in questione, un’altra soluzione per tradurre “pawsitive” potrebbe essere quella di creare un neologismo anche nella versione italiana. Si potrebbe pensare a “Ho un debole per i zampopositivi” … che ne dite? La parola inventata “zampopositivi” potrebbe essere un ottimo equivalente per “pawsitive”.

Occhio alle frasi idiomatiche!

Oggi vi racconto di una mia esperienza nel campo della traduzione.

Ero proprio agli inizi della mia carriera quando provai a tradurre un breve estratto del film d’animazione Toy Story (1995). A un certo punto Buzz e Woody litigano sotto una macchina e Woody dice: “Do you want a piece of me?”. Io erroneamente tradussi la frase con “Vuoi un pezzo di me?”. Considerando che Woody è un giocattolo che potrebbe facilmente rompersi in diversi pezzi, pensai che la traduzione letterale potesse veicolare in modo chiaro la volontà di Woody di sfidare Buzz. Tuttavia, scoprii poi che si tratta di un’espressione idiomatica che significa “Vuoi la guerra?” o “Vuoi vedertela con me?”.

Da questa esperienza imparai che non bisogna mai prendere tutto alla lettera e che l’inglese è pieno di frasi idiomatiche, i cosiddetti idioms. Quindi il traduttore deve sempre stare all’erta e tenere sempre presente che ci possono essere dei significati impliciti in una frase. Se le frasi idiomatiche non vengono individuate, si rischia di stravolgere completamente il senso dell’originale. Quindi fate molta attenzione quando traducete!

Barzelletta sul “cab”

Questa vignetta di Bill Abbott è molto carina perché gioca sul doppio significato della parola “cab”. Infatti, “cab” è il taxi nell’inglese americano, ma è anche l’abbreviazione di Cabernet. Quindi la signora voleva una bottiglia di questo vino pregiato, invece il cameriere ha capito erroneamente che voleva un taxi.

Com’è facile intuire, in questo caso la traduzione in qualsiasi altra lingua è pressoché impossibile: se da un lato Cabernet è conosciuto in tutto il mondo, la parola “cab” appartiene solo alla lingua inglese, per cui il gioco di parole non funziona nelle altre lingue. Inoltre c’è ancora una volta il codice visivo, l’immagine, che non permette di allontanarci dal contesto originale. Pertanto il traduttore rimane vincolato a questo contesto e deve per forza trovare una soluzione partendo dall’immagine.

Forse si potrebbe optare per la seguente soluzione, seppur non ugualmente brillante come la frase originale: “Volevo un vino a farmi compagnia, non un tassista ubriaco”. Così si mantiene il riferimento al vino, anche se si dà per scontato — ingiustamente peraltro — che i tassisti siano sempre ubriachi (però il tassista della vignetta sembra proprio che lo sia, considerando il suo aspetto!). In più, purtroppo questa soluzione ha un altro difetto: non si capisce bene perché il cameriere avrebbe chiamato un taxi …

A voi la libertà di proporre una possibile soluzione …

Ahimè, a volte il lavoro del traduttore è un vero e proprio rompicapo !

Barzelletta sul sesso

– Dai, Apostolis, dimmi cos’è il sesso!

– Ti ho già detto che quando pronuncerai
la esse correttamente, ti dirò cos’è il sesso!

– Perché ti sei fissato sulla esse? Ci sono
tante altre lettere!… Allora, ti pronuncerò
un’altra lettera correttamente
e tu mi dirai cos’è il sesso!… Va bene?…

Fotti!

– O hai un istinto tremendo
o ci prendi tutti in giro!

Il vignettista greco Arkàs ha creato una serie il cui protagonista è un bambino che ha difficoltà a pronunciare la lettera S. Già qui si presenta una piccola difficoltà: nella versione originale la S viene sostituita con la lettera greca Θ, una lettera che nell’alfabeto italiano non esiste. Tuttavia, si potrebbe facilmente ricorrere alla sostituzione della R con la L, un fatto che gli italiani sono soliti ad attribuire ai parlanti cinesi. In questo modo avrebbe luogo la strategia di sostituzione: laddove nella traduzione si perde un elemento, lo si ritrova da un’altra parte.

Ben più problematica è la traduzione della parola evidenziata in grassetto. Questa è la parola chiave che scatena la risata del lettore. “Γάμα” è sì il nome della lettera greca Γ (gamma), ma vuol dire anche “fotti”. Se si decide di includere questo secondo significato, si perderebbe l’allusione alla lettera greca e, di conseguenza, la corrispondenza con l’alfabeto. Se si decide di mettere una qualsiasi altra lettera, invece, il danno sarebbe molto più grosso perché si eliminerebbero completamente la battuta e il senso stesso della barzelletta. Pertanto questo è un caso in cui il traduttore si trova di fronte a un bivio: scegliere quale delle due informazioni trasmettere, sebbene l’effetto scatenante della risata venga comunque compromesso.

Introduzione

L’umorismo è uno dei campi più complessi della traduzione. Pensate ai giochi di parole, i cosiddetti puns, o a elementi culturospecifici (cioè propri di una lingua e di una cultura). Entrambi sono molto difficili da trasmettere in un’altra lingua e per questo ci sono varie strategie per tradurli, a seconda dei casi.

Proprio per dimostrare queste difficoltà ho un account Instagram (@zanessis_traduzioni) dove pubblico la mia versione tradotta in italiano di diverse barzellette. Tuttavia, ci sono barzellette che non possono essere tradotte perché durante la trasposizione in italiano si perdono degli elementi importanti col risultato di annullare l’effetto comico. Quindi in questo spazio voglio illustrare alcuni dei casi in cui ciò avviene per capire più concretamente da dove possono derivare le difficoltà traduttive.