Questa vignetta di Kevin Kallaugher illustra la recente decisione dell’ONU per il cessate il fuoco a Gaza.
In inglese “ceasefire” significa proprio “cessate il fuoco”. Peccato però che nella vignetta uno urla “cessate” e l’altro “fuoco”; quindi in italiano la battuta non starebbe in piedi per due ragioni: da una parte, sparisce l’articolo “il” della frase citata sopra; dall’altra, “cessate” come ordine non esiste, si può dire piuttosto “fermatevi”, “altolà”, “alt” o, al limite, “stop”. Comunque il secondo ordine viene usato anche in italiano, quando si decide di sparare o sganciare una bomba (“fuoco”).
Quindi il problema sarebbe nella prima nuvoletta della vignetta. Eppure, una soluzione potrebbe essere “fermo”, in modo da creare due parole che inizino per /f/. Questa ripetizione dà luogo a un caso di allitterazione, che potrebbe contribuire a collegare gli enunciati dei due uomini.
Ti viene in mente qualche altra soluzione per tradurre questa vignetta? Scrivila nei commenti!
– Ehi, ci sono sempre più volatili. – Anche i soldi diventano sempre più volatili.
Mi è capitato di tradurre questa vignetta dell’autore argentino Fernando Rocchia e mi sono imbattuta in una sfida di traduzione sorprendente. Due parole sul contesto: “mosquito” è la zanzara, invece “mosca”, oltre all’insetto, si può riferire anche al denaro contante, come in questo caso (infatti, l’autore ha messo la parola tra virgolette). Quindi da una parte abbiamo l’ambito naturale e dall’altra quello finanziario. La traduzione che ho scelto, sebbene abbia mantenuto il riferimento a questi due ambiti, ha lasciato da parte il nome dei due insetti e ha optato per una generalizzazione: infatti, “volatili” è un iperonimo perché è un termine che racchiude in sé le zanzare e le mosche. Allo stesso tempo, la volatilità del mercato è proprio un termine finanziario, quindi risulta adatto a riflettere l’accezione di “mosca”. Dunque, almeno in italiano, questa strategia è azzeccata perché riesce a trasmettere il doppio senso delle parole originali. Se la vignetta dovesse essere tradotta in un’altra lingua, allora potrebbero sorgere dei problemi, per cui ci si dovrebbero inventare altre soluzioni.
El català, l’has d’estudiar, és clar. Quan t’esforcis, fins i tot mentre esmorzes, no et desanimis ni perdis les forces. Perquè, com més l’estudiaràs, més te n’adonaràs de les coses que aprendràs. És una llengua atractiva, i, si prens la iniciativa, ajudaràs que sigui més col·lectiva. Posa’t mans a l’obra, i si se’t desperten les ganes de sobra, ves-te’n a celebrar-ho que després el cambrer et cobra!
È risaputo ormai che i modi di dire sono difficili da tradurre perché sono propri di ogni lingua. Questa esclusività è il motivo per cui al momento di tradurli bisogna trovare un’espressione equivalente o comunque esplicitare il significato originale in parole semplici.
Vediamo un esempio di traduzione di un modo di dire grazie a questa vignetta di Arkàs, un famosissimo fumettista e illustratore greco.
– Perché sei arrabbiato, Spiros? – Perché Crisante mi ha rotto le scatole! Ha una scimmietta di peluche e l’ha chiamata Spiros! – E ti sei arrabbiato per questo?… …Se solo Sissi chiamasse Thanasakis qualcosa di suo! – Cioè che cosa? – Qualsiasi cosa!… Persino la sua matita o il suo quaderno! – Se chiamasse Thanasakis il suo quaderno, direbbe: “Mi serve un nuovo quaderno perché di Thanasakis non mi importa niente“!
La frase finale, che costituisce la battuta della barzelletta, è complicata da tradurre proprio perché include un modo di dire. Letteralmente sarebbe “…perché Thanasakis ce l’ho scritto”. In greco “avere scritto qualcuno” vuol dire ignorarlo, non essere interessato a lui. Dunque questo modo di dire lega bene con il concetto di scrivere sul quaderno. Tuttavia, in italiano non esiste un modo di dire equivalente, per cui bisogna trasmetterne il significato con parole chiare, che non nascondano un significato implicito, ma che dispieghino il concetto affinché quest’ultimo venga ricevuto facilmente dal lettore. Quindi una buona soluzione è “non mi importa niente di lui”. Come accade spesso, esplicitando il significato di un modo di dire si perde il collegamento con il resto del discorso; in questo caso, il concetto di scrivere viene perso. Comunque è sempre meglio rendere chiaro il messaggio originale piuttosto che rischiare di perdere il nesso logico con il resto del testo.
Così il traduttore, quando si trova davanti a sfide del genere, sebbene debba sforzarsi per trovare una soluzione accettabile, ha comunque modo di divertirsi nel tradurre l’umorismo, uno degli aspetti linguistici più difficili da veicolare da una lingua a un’altra.
Rieccomi! Dopo parecchio tempo di assenza, vorrei continuare a parlare in qualche modo dell’argomento trattato anche nell’articolo precedente, ovvero della sottotitolazione. Fare sottotitoli, lo ribadisco, sembra facile, ma non lo è, credetemi. Innanzitutto bisogna rispettare tutta una serie di regole tecniche e saper usare software professionali online e offline che servono appositamente a creare sottotitoli. Poi ci sono varie strategie e modalità di adattamento che un bravo sottotitolatore deve applicare. Di seguito vorrei illustrare dei casi particolarmente interessanti in cui mi sono imbattuta in un lavoro che ho fatto di recente.
Guardate l’inizio di questa frase in spagnolo, ponendo l’attenzione alla sigla:
La primera vez que di una clase, era profesor ayudante en ESADE,
Da una rapida ricerca online, vediamo che ESADE è l’acronimo catalano di Escola Superior d’Administració i Direcció d’Empreses, un’importante business school di Barcellona.
Come renderlo nei sottotitoli in italiano?
Il problema più grande è il fatto che i sottotitoli non lasciano spazio per spiegazioni. Pensate ai libri, per esempio, dove il traduttore ha la possibilità di introdurre una nota a piè di pagina per spiegare meglio un concetto. Purtroppo nei sottotitoli questo non è fattibile, proprio per la loro natura: il testo che contengono è condensato in due righe, quindi il suo senso dev’essere chiaro, conciso e completo.
La prima volta che ho fatto una lezione, ero assistente all’ESADE di Barcellona,
Dunque, in questo caso, ho mantenuto l’acronimo, ma siccome il termine “profesor ayudante” si riduce ad “assistente”, ho guadagnato spazio per inserire la città in cui ha sede la scuola. Così sono riuscita a dare qualche informazione in più. Notate anche che “all'” suggerisce che si tratta di una scuola. Poi sta allo spettatore fare una ricerca, se è interessato/-a a conoscere il significato dell’acronimo.
Passiamo a un secondo caso, l’inizio di una domanda:
¿Estás teniendo en cuenta a ese ser humano único y excepcional,
Ho tradotto così:
Stai tenendo in considerazione quell’individuo unico ed eccezionale,
Se avessi scritto “quell’essere umano”, non avrei rispettato il limite spaziale, che in questo caso era di 40 caratteri (spazi inclusi). Invece di eliminare uno dei due aggettivi o cambiare il verbo, ho preferito sostituire il sostantivo con un suo sinonimo più corto, e il gioco è fatto.
Sempre per i limiti spazio-temporali, molte volte mi capita di scrivere “pure” invece di “anche”, riuscendo così a risparmiare qualche carattere. Allo stesso modo, “questo” (o “questa”, ecc.) spesso si riduce in “il” (o “la”, ecc.) oppure in “ciò”. Così si dà al testo uno stile più formale, ma si raggiunge comunque lo scopo principale dei sottotitoli, che è quello di dare un senso compiuto in ogni sottotitolo e, idealmente, in ogni sua riga. Per questo, si cerca sempre di mettere su ogni riga una parte della frase senza separare il verbo ausiliare dal verbo principale, l’aggettivo dal sostantivo, eccetera.
Allora, pensate ancora che il lavoro di noi sottotitolatori sia facile? Ad ogni modo vi assicuro che sottotitolare può essere molto soddisfacente quando si riesce a trovare delle soluzioni adeguate. Inoltre l’idea che si aiutano delle persone a comprendere il prodotto audiovisivo originale può riempirci di orgoglio!
Il lavoro della sottotitolazione implica il saper condensare e suddividere il testo orale in modo che il testo scritto risulti chiaro, conciso e di comprensione immediata. Per avere questo risultato, si devono seguire delle regole comuni e universali, anche se poi ci si deve adeguare alle specifiche di ogni azienda/cliente che impongono certi parametri tecnici.
Qui voglio illustrare alcune delle regole universali per capire meglio come funziona il mestiere del sottotitolatore. Ho preso degli esempi di sottotitoli da una clip con una scena del film “Now is good”.
Innanzitutto, è importante notare che tutti i sottotitoli sono fedeli ai dialoghi originali, quindi lo spettatore riceve le informazioni corrette. Tuttavia, la lettura gli risulta faticosa perché i sottotitoli sono segmentati male. Per segmentazione si intende una suddivisione appropriata del testo scritto in due righe, all’interno di un sottotitolo. Vediamo degli esempi concreti.
Dico solo che non devi restare a casa per me.
Personalmente non dividerei il verbo all’infinito da verbi come “dovere”, “potere”, eccetera. Sarebbe meglio tenerli uniti e mettere i complementi nella seconda riga:
Dico solo che non devi restare a casa per me.
Secondo esempio:
Ho preso solo dei funghi, sono naturali.
Siccome non ci sono problemi di spazio (normalmente in una riga ci possono essere all’incirca 37 caratteri, spazi inclusi, a seconda delle specifiche del cliente), io unirei l’oggetto con la prima parte della frase:
Ho preso solo dei funghi, sono naturali.
Posso motivare questa mia scelta anche perché la frase “sono naturali” è indipendente dal resto, aggiunge solo qualche informazione in più. Proprio per questo, è molto meglio mettere ogni frase completa in una sola riga.
Terzo esempio:
Un’amica ha comprato la ketamina,
Qui vige la regola secondo la quale non bisogna mai dividere il verbo ausiliare dal verbo che ne segue. Pertanto il modo in cui si presenta questo sottotitolo è assolutamente sbagliato e quasi quasi confonde lo spettatore perché interrompe il normale flusso di lettura. Quindi si deve piuttosto dividere l’oggetto dal verbo, se non ci sta anch’esso nella prima riga:
Un’amica ha comprato la ketamina,
Ancora un esempio:
ma lo spacciatore sembrava un po’ sporco, così abbiamo preso i funghi,
Qui l’aggettivo “sporco” non può non stare nella prima riga poiché quest’ultima non avrebbe un senso completo. Dunque, se aggiungessimo “sporco” nella prima riga, arriveremmo a 41 caratteri, spazi inclusi:
ma lo spacciatore sembrava un po’ sporco, così abbiamo preso i funghi,
Per alcune aziende il limite di caratteri per riga è 36, per altre 37, per altre ancora 42. Nei primi due casi, piuttosto che spezzare l’aggettivo dal resto della frase, è meglio condensare togliendo “un po’”:
ma lo spacciatore sembrava sporco, così abbiamo preso i funghi,
La condensazione è una tecnica che serve proprio a evitare di creare degli squilibri nella segmentazione dei sottotitoli e, di conseguenza, nella loro lettura agevolata. A volte implica la rimozione di alcune parole non essenziali per trasmettere il messaggio originale, altre volte alcune parole vengono sostituite con altre più brevi (“ma” invece di “però”, “quindi” invece di “pertanto”) per motivi di spazio.
Un ultimo esempio:
Non so quanto ci mettano a fare effetto.
Anche qui la frase è segmentata male. Stona vedere la parola “quanto” divisa dal resto della frase. Ci sono due alternative:
Non so quanto ci mettano a fare effetto.
Oppure:
Non so quanto ci mettano a fare effetto.
In conclusione, guardando dei sottotitoli un professionista nota subito questi errori di segmentazione. Anzi, quando è lui a dover creare dei sottotitoli da zero, ha sempre in mente questo tipo di regole, a prescindere dalla lingua in cui scrive e dal cliente per il quale lavora. La segmentazione è un fattore chiave per ottenere dei sottotitoli fatti bene e per non affaticare la lettura da parte dello spettatore.
Oggi voglio presentarvi il lavoro della sottotitolazione, un settore in cui mi sono specializzata e in cui lavoro da quattro anni ormai.
Dunque, la sottotitolazione è una vera e propria professione, oserei dire un’arte. Anche se sembra facile, è tutto fuorché semplice. È un processo dietro il quale si nascondono una serie di regole e di tecniche che servono a rendere la fruizione di un prodotto audiovisivo il più piacevole possibile.
Infatti, i sottotitoli migliori sono invisibili, si leggono senza essere notati poiché sono parte integrante di ciò che succede nel video. Questa è una dichiarazione citata spesso in vari studi di ricerca sulla Traduzione Audiovisiva, in questionari rivolti a spettatori. Sono proprio questi ultimi a dover leggere i sottotitoli durante la visione di un film o un documentario, cosa che può risultare faticosa. Tuttavia, se sono fatti bene, i sottotitoli non guastano proprio la fruizione, anzi, la migliorano aiutando gli spettatori a capire meglio il contenuto del video.
Ma come sono i sottotitoli fatti bene?
Innanzitutto, i sottotitoli si dividono in intralinguistici e interlinguistici. I primi sono scritti nella stessa lingua dei dialoghi, mentre i secondi in una lingua diversa. C’è poi la categorizzazione dei sottotitoli per non udenti, nei quali vengono inclusi tutti gli effetti sonori e l’identificazione di chi parla (specialmente se chi parla non si vede sullo schermo), e i sottotitoli come supporto per imparare una lingua straniera. Comunque, nel caso in cui i sottotitoli si debbano tradurre, sempre più di frequente le aziende mettono a disposizione dei sottotitolatori un template, cioè un file già sincronizzato e suddiviso in sottotitoli. Normalmente il testo è in inglese e i sottotitolatori non devono fare altro che tradurlo, senza cambiare i tempi di entrata e i tempi di uscita dei sottotitoli, né unire o suddividere questi ultimi. Questo serve ad avere un prodotto finale uguale in tutti i Paesi in cui si esporta. Quando si parla di template, il dibattito si accende. Se a prima vista questa modalità sembra rendere il lavoro dei sottotitolatori più semplice, in realtà lo complica: ci sono lingue le cui parole sono più lunghe rispetto a quelle inglesi, per cui il testo tradotto non ci sta tutto. I sottotitolatori, non potendo cambiare i tempi e il numero dei sottotitoli, si riducono a dei meri traduttori e non possono mettere in atto le loro competenze tecniche. Pertanto, o il contenuto dei sottotitoli viene ridotto ulteriormente, o i sottotitoli risultano segmentati in modo sbagliato (sulla segmentazione, si veda più avanti). In ogni caso, i sottotitoli sembrano fatti male oppure sembra che al loro interno manchi qualche informazione percepita dai dialoghi.
Oltre a questa categorizzazione, ci sono delle linee guida ben precise da rispettare, create dalle aziende che danno i video da sottotitolare a dei professionisti. Queste regole hanno a che fare con i caratteri per riga, la durata minima e quella massima dei sottotitoli (di solito si va da 1 a 6-7 secondi), la velocità di lettura, le abbreviazioni, eccetera. Comunque c’è da dire che quasi sempre i caratteri per riga vanno dai 37 ai 42 poiché l’occhio umano non potrebbe seguire la lettura con molti più caratteri (com’è stato dimostrato da vari studi tramite eye tracking, un processo che monitora i movimenti oculari).
Fatte queste premesse, il sottotitolatore deve tenere in considerazione varie strategie per rispettare le regole e garantire la massima leggibilità dei sottotitoli. La più importante di queste strategie è la condensazione, ovvero scrivere in modo conciso il messaggio originale. Questo comporta la riformulazione della frase, ma anche l’eliminazione di ridondanze e altri elementi non importanti ai fini della trama. Oltre alla condensazione, si deve applicare una buona segmentazione. Questo significa che nei casi di sottotitoli con due righe non si deve separare il sostantivo dall’aggettivo, il verbo dall’ausiliare, il soggetto dal verbo, eccetera. Inoltre, ove possibile, la seconda riga dev’essere più lunga della prima per una maggior ricettività da parte dello spettatore (anche questo è stato dimostrato grazie all’eye tracking).
Esempio:
SBAGLIATO ✖️
Oggi ho mangiato un buon panino per pranzo.
CORRETTO ✔️
Oggi ho mangiato un buon panino per pranzo.
In poche parole, ogni sottotitolo, che abbia una o due righe, deve costituire un’unità di senso, deve cioè avere un senso compiuto. Così gli spettatori ricevono il messaggio in modo diretto e immediato, anche perché non possono tornare indietro e recuperare qualche informazione. Questo è un aspetto molto importante della Traduzione Audiovisiva: un video non è come un libro dove si può facilmente tornare indietro e rileggere qualcosa, nel video c’è molto movimento, avviene tutto velocemente e per questo il testo scritto nei sottotitoli dev’essere il più chiaro possibile.
Vi ho esposto alcune delle cose da tenere in considerazione quando si sottotitola. Vi sembrano tante? Eppure dovete sapere che i sottotitolatori non solo devono adattarsi ogni volta alle regole del cliente e applicare diverse strategie, ma quasi sempre hanno pochissimo tempo per svolgere il loro lavoro e in più vengono remunerati miseramente. Soprattutto a causa della mancanza di tempo e della pressione che subiscono, spesso e volentieri non consegnano un lavoro perfetto, c’è sempre qualche imperfezione che può sfuggire loro. Per questo in teoria c’è il revisore che controlla e corregge il lavoro del sottotitolare. Ho scritto “in teoria” perché non sempre le aziende assumono questa figura, con l’obiettivo di risparmiare tempo e denaro. Così preferiscono dare un’occhiata veloce loro stesse al lavoro finale, ma questa è solo una formalità, soprattutto perché incombe la consegna o la messa in onda del prodotto. Di conseguenza, purtroppo, gli spettatori finiscono per usufruire dei sottotitoli che, in condizioni più favorevoli per tutti, avrebbero potuto essere di una qualità migliore. Senza questa fretta perenne ed eccessiva, sono sicura che si vedrebbero in giro più sottotitoli fatti bene.
Quindi la prossima volta che vedete un programma sottotitolato, pensate a quanto lavoro sottostimato c’è dietro quei sottotitoli…
In ogni lingua ci sono parole polisemiche, ovvero parole che presentano significati diversi. Ciascuno di questi significati vengono determinati dal contesto. Per esempio, nelle frasi “Ho trovato per terra una penna di un piccione.” e “Aspetta che prendo carta e penna per scrivere.” la parola “penna” assume in ciascun caso dei significati completamente diversi. Quando si traduce in un’altra lingua, quasi sempre non c’è un equivalente polisemico, bensì una parola per la penna del piccione e un’altra parola per la penna da scrivere.
Fin qui sembra tutto piuttosto semplice. Quando entra però in gioco il codice visivo, le cose si complicano. Come ho già spiegato in altri miei articoli, il codice visivo, che sia in un’immagine o in un video, crea un tale vincolo con le parole per cui il traduttore non può avere molte alternative. Vediamo come esempio la seguente vignetta di Mark Tatulli.
La traduzione della nota che sorge spontanea sarebbe: “Lio, per favore porta fuori la spazzatura. Papà”. Ma non è la traduzione più adeguata perché poi vediamo Lio che spegne il fuoco della spazzatura in fiamme e non capiamo il nesso. E se vi svelassi che il verbo “to put out” significa anche “spegnere il fuoco”? Allora si spiega l’illustrazione finale: il bambino capisce che deve spegnere un fuoco, quindi dà fuoco all’immondizia e poi cerca di spegnere le fiamme. Pertanto al piccolo Lio è venuto in mente solo uno dei due significati di quel verbo.
Allora, come possiamo tradurre adeguatamente la nota del papà? Senz’altro in casi come questo il traduttore deve ingegnarsi per trovare una soluzione, dovendosi per forza allontanare almeno un po’ dall’originale. Io propongo la seguente traduzione: “Lio, per favore sbarazzati della spazzatura. Papà”. Qui il verbo “sbarazzarsi” implica il portar fuori la spazzatura, ma anche e soprattutto il fatto di eliminarla, di farla sparire. Così si spiega il comportamento conseguente del bambino: appicca il fuoco alla spazzatura per liberarsene. Come vi sembra questa soluzione? Ve ne viene in mente una migliore? Scrivetela nei commenti!
Eccomi con una nuova vignetta, stavolta dell’autore americano Dave Blazek. Sì, lo so, sono fissata con le vignette ?, ma è pur vero che sebbene sembrino semplici, quando arriva il momento di tradurle, ci troviamo di fronte a una sfida non indifferente.
Come ho già detto in un’altra occasione, il vincolo con l’immagine può costituire un ostacolo per la traduzione. Così, in questo caso, i lettori che non sanno l’inglese non capiscono perché ci siano quei due bicchieri da aperitivo. “Toaster” è il tostapane e il verbo “to toast” vuol dire “tostare”, “abbrustolire”, ma anche “brindare”, “fare un brindisi”. Quindi l’autore ha giocato sul doppio significato del verbo disegnando quei due bicchierini.
Sfortunatamente in italiano questo verbo non ha l’accezione del brindisi, quindi la battuta non può funzionare. Si potrebbe aggiungere una nota illustrando il secondo significato del verbo, ma se vogliamo un effetto immediato della battuta, soprattutto se si tratta di sottotitoli, quando l’immagine nel video è in movimento e ci sono dei limiti spazio-temporali, allora ci troviamo in difficoltà.
Concludo con una possibile traduzione che include entrambi i significati del verbo: “Ehi, tesoro! Vieni a brindare al nuovo tostapane, lo adoro!”. In questo modo si spiega la presenza dei bicchierini e il motivo del brindisi.
Ecco qui un’altra vignetta dell’autore greco Arkàs. Stavolta, però, la traduzione è pressoché impossibile poiché certe festività, sebbene siano simili, non hanno lo stesso nome in tutte le lingue.
Iniziamo a provare a tradurre, almeno letteralmente, per capire meglio gli ostacoli ai quali ci troviamo di fronte…
“Buongiorno.”
Febbraio dice al Lunedì (Arkàs ha creato tutta una serie di vignette con protagonisti i mesi e i giorni):
“Sei ancora qui tu? Dovresti essere andata al lavoro!”
Già qui vediamo che non c’è una corrispondenza con l’immagine. In italiano i giorni sono sostantivi maschili, mentre in greco sono femminili ed è per questo che Arkàs li disegna sotto forma di ragazze. Comunque si potrebbe considerare il lunedì come una giornata lavorativa, mantenendo così il riferimento femminile.
Ma andiamo avanti…
Lunedì risponde: “Ma non devo lavarmi?”.
E Febbraio replica: “Non ce n’è bisogno!… Il lunedì pulito è a marzo!”.
Confusi? È normale, tranquilli. Qui entra in gioco la festività che indica l’inizio della Quaresima, che in greco è Καθαρή Δευτέρα (/katharì deftèra/, letteralmente “lunedì pulito”). Questa festività ha qualche affinità con l’italiano Mercoledì delle Ceneri, con lo spagnolo Miércoles de Ceniza e con l’inglese Ash Wednesday. Tuttavia, Καθαρή Δευτέρα è caratteristica solo del mondo ortodosso ed è una vera e propria festa. Infatti, mentre in tutto il mondo cattolico e in quello protestante il primo giorno di Quaresima è un giorno di penitenza, in Grecia è una festa che va oltre il significato religioso: si lanciano aquiloni e si gusta un pranzo ricco di specialità culinarie, soprattutto di molluschi e crostacei.
Dunque, considerando la traduzione letterale, nella vignetta il Lunedì dev’essere pulito e in ordine prima di andare al lavoro. Ma non c’è una traduzione valida soprattutto perché nelle altre lingue non c’è l’accezione di pulito, quindi la battuta non sta in piedi. Inoltre, come se non bastasse, le date della Quaresima, e quindi della Pasqua, spesso non corrispondono perché vengono calcolate in modo diverso (anche se, di solito, coincidono ogni quattro anni). Quindi, anche per questa differenza di tempistica, la vignetta risulta fuori luogo.
Per concludere, quando un traduttore si imbatte in una difficoltà del genere, non gli resta che costellare la traduzione di note e riferimenti, oppure può stravolgere il testo, cancellando ogni riferimento alla festività. Così può dare libero sfogo alla fantasia e inventarsi da capo il dialogo. Lascio a voi la scelta di una possibile traduzione.