Il nuoto è il mio benessere

Il nuoto mi fa bene, in tutti i sensi. L’acqua è il mio elemento. Basta immergermici e tutto acquista un’altra dimensione. Il tempo rallenta, la mente si libera dai soliti pensieri e tutti i muscoli lavorano, garantendone così la tonicità. Il rumore dell’acqua e il mio respiro si fondono, creando una simbiosi in armonia. Le braccia e le gambe sono libere di scatenarsi, facendo movimenti che fuori dall’acqua non riuscirebbero a eseguire e coordinare. Ci sono momenti che nuoto con calma e altri che vado a un ritmo più sostenuto. La logica del maratoneta si impadronisce del mio cervello: all’inizio procedo con calma e verso la fine della nuotata vado più spedita. Alla fine, la respirazione accelera, i battiti del cuore aumentano, ma non mollo finché non mi sento esausta e nuoto a più non posso, come se non ci fosse un domani. In effetti, sento questa forza interiore che mi spinge a proseguire e che la paragono a delle corna, visto che il mio segno zodiacale è il capricorno e, appunto, ha le corna. È la stessa forza che mi accompagna in tutta la mia vita, soprattutto nei momenti difficili, ma durante il nuoto la sento molto più viva e intensa. In conclusione, il nuoto è un modo per scaricare la tensione, quindi oltre a essere un ottimo esercizio fisico, è un toccasana per la mente.

Come affrontare la polisemia nella traduzione

– Oddio!… Ci mangerà!…
– Shh!… Zitto!…

– Ci mangerà!…
– Zitto…

– Ci mangerà!…
– Zitto…

– Ci mangerà!…
– Ma dai!…

Ho già parlato di polisemia in altre occasioni (qui, qui e qui), ma ci ritorno perché è un tema spinoso nel mondo della traduzione.

In questa vignetta si presenta un chiaro esempio di polisemia, ovvero di una parola che può avere più significati. Quasi sempre non ci sono equivalenti polisemici in altre lingue, per cui si deve ricorrere a parole diverse tra loro. Così facendo si perde l’idea originale di usare la stessa parola, ma almeno si trasmette il contenuto del messaggio.

Nell’esempio illustrato qui, l’imperativo greco σώπα di solito si usa per zittire qualcuno. A volte, però, viene usato anche per ribattere in maniera ironica e si può tradurre con “ma dai”, “ma va’”, “ma figurati” e simili. Il pescecane della vignetta vuol dire “ma davvero credete che vi mangerò?”; ecco, questa frase viene riassunta nella breve battuta “ma dai”.

Certo, come dicevo prima, si è costretti ad alterare la versione originale perché in italiano non c’è una polisemia corrispondente. Tuttavia, la traduzione aiuta a far vedere la ricchezza della lingua originale: in questo caso, è chiaro che in greco esiste una sola parola su cui si può giocare proprio perché può avere significati diversi.

In conclusione, non tutti i mali vengono per nuocere. Lo scopo principale della traduzione è trasmettere il messaggio originale il più fedelmente possibile. Dopodiché, dovendo annullare la polisemia nella versione tradotta, se abbiamo il testo originale a confronto, possiamo dedurre l’eterogeneità della lingua di partenza.

Nuove sfide e nuove esperienze

Dopo dieci giorni da quando mi sono proposta di fare volontariato, mi sono già messa in moto e quasi non riesco a stare al passo.

In particolare, partecipo a due progetti di volontariato. Uno è il Volontariato per la Lingua (VxL), organizzato dal Centro di Normalizzazione Linguistica di Hospitalet. In realtà, avevo già partecipato come alunna e, una volta ottenuto il C2 di catalano, sapevo che volevo passare dall’altra parte e aiutare altre persone a praticare la lingua. Si tratta solo di fare conversazioni, una alla settimana. Così ho deciso di avere tre alunne allo stesso tempo, perché so che ci sono molte persone che chiedono di parlare con un volontario; tuttavia, di volontari ce ne sono pochi. Per questo mi piace dare una mano e contribuire alla diffusione del catalano. L’ambiente è molto rilassato e le conversazioni sono informali e piacevoli.

L’altro progetto di volontariato riguarda l’insegnamento delle lingue a persone con disabilità fisiche che vivono in un centro di accoglienza a Mataró. In particolare, insegno catalano e italiano a un piccolo gruppo di ragazze, tutte affette da paralisi cerebrale, la mia stessa patologia. Poiché ci sono diversi gradi di gravità di questa patologia, ho scoperto realtà molto diverse. Mi sono resa conto che ci sono casi in cui la persona non può né parlare, né scrivere a mano o al computer. Per questo motivo, ovviamente, l’insegnamento diventa una sfida più complicata, dato che non è per niente facile trovare attività semplici che queste persone possano svolgere. Tuttavia, considero questo tipo di insegnamento una vera sfida che voglio affrontare senza paure né insicurezze. La chiave è andare piano e ripetere spesso gli stessi concetti, affinché si fissino nella memoria degli studenti. Inoltre, sono persone molto intelligenti e desiderose di imparare. Infatti, ci sono certe alunne che, con le loro richieste di spiegazioni, mi sono utili e a volte mi danno idee per le lezioni successive.

In conclusione, credo che i progetti di volontariato possano apportare molti valori ed esperienze di umanità. Anche se non si tratta di un lavoro retribuito, penso che qualsiasi attività di volontariato ti faccia sentire utile. Vedere la soddisfazione delle persone che ricevono ciò che offri non ha prezzo, ma un valore inestimabile per il tuo impegno. Pertanto, nel tempo che riuscirò a ritagliarmi, continuerò con queste esperienze che senza dubbio arricchiscono sia dal punto di vista professionale che personale.

Questione di ordini

Questa vignetta di Kevin Kallaugher illustra la recente decisione dell’ONU per il cessate il fuoco a Gaza.

In inglese “ceasefire” significa proprio “cessate il fuoco”. Peccato però che nella vignetta uno urla “cessate” e l’altro “fuoco”; quindi in italiano la battuta non starebbe in piedi per due ragioni: da una parte, sparisce l’articolo “il” della frase citata sopra; dall’altra, “cessate” come ordine non esiste, si può dire piuttosto “fermatevi”, “altolà”, “alt” o, al limite, “stop”. Comunque il secondo ordine viene usato anche in italiano, quando si decide di sparare o sganciare una bomba (“fuoco”).

Quindi il problema sarebbe nella prima nuvoletta della vignetta. Eppure, una soluzione potrebbe essere “fermo”, in modo da creare due parole che inizino per /f/. Questa ripetizione dà luogo a un caso di allitterazione, che potrebbe contribuire a collegare gli enunciati dei due uomini.

Ti viene in mente qualche altra soluzione per tradurre questa vignetta? Scrivila nei commenti!

Lingua che scegli, soluzioni che trovi

– Ehi, ci sono
sempre più volatili.
– Anche i soldi diventano
sempre più volatili.

Mi è capitato di tradurre questa vignetta dell’autore argentino Fernando Rocchia e mi sono imbattuta in una sfida di traduzione sorprendente.
Due parole sul contesto: “mosquito” è la zanzara, invece “mosca”, oltre all’insetto, si può riferire anche al denaro contante, come in questo caso (infatti, l’autore ha messo la parola tra virgolette). Quindi da una parte abbiamo l’ambito naturale e dall’altra quello finanziario.
La traduzione che ho scelto, sebbene abbia mantenuto il riferimento a questi due ambiti, ha lasciato da parte il nome dei due insetti e ha optato per una generalizzazione: infatti, “volatili” è un iperonimo perché è un termine che racchiude in sé le zanzare e le mosche. Allo stesso tempo, la volatilità del mercato è proprio un termine finanziario, quindi risulta adatto a riflettere l’accezione di “mosca”.
Dunque, almeno in italiano, questa strategia è azzeccata perché riesce a trasmettere il doppio senso delle parole originali. Se la vignetta dovesse essere tradotta in un’altra lingua, allora potrebbero sorgere dei problemi, per cui ci si dovrebbero inventare altre soluzioni.

Poesia sul catalano, la mia quinta lingua

Quina llengua més maca!

El català,
l’has d’estudiar,
és clar.
Quan t’esforcis,
fins i tot mentre esmorzes,
no et desanimis
ni perdis les forces.
Perquè, com més l’estudiaràs,
més te n’adonaràs
de les coses que aprendràs.
És una llengua atractiva,
i, si prens la iniciativa,
ajudaràs que sigui més col·lectiva.
Posa’t mans a l’obra,
i si se’t desperten les ganes de sobra,
ves-te’n a celebrar-ho que després el cambrer et cobra!

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Modi di dire: una delle sfide più grandi dei traduttori

È risaputo ormai che i modi di dire sono difficili da tradurre perché sono propri di ogni lingua. Questa esclusività è il motivo per cui al momento di tradurli bisogna trovare un’espressione equivalente o comunque esplicitare il significato originale in parole semplici.

Vediamo un esempio di traduzione di un modo di dire grazie a questa vignetta di Arkàs, un famosissimo fumettista e illustratore greco.

– Perché sei arrabbiato, Spiros?
– Perché Crisante mi ha rotto le scatole! Ha una scimmietta di peluche e l’ha chiamata Spiros!
– E ti sei arrabbiato per questo?…
…Se solo Sissi chiamasse Thanasakis qualcosa di suo!
– Cioè che cosa?
– Qualsiasi cosa!… Persino la sua matita o il suo quaderno!
– Se chiamasse Thanasakis il suo quaderno, direbbe: “Mi serve un nuovo quaderno perché di Thanasakis non mi importa niente“!

La frase finale, che costituisce la battuta della barzelletta, è complicata da tradurre proprio perché include un modo di dire. Letteralmente sarebbe “…perché Thanasakis ce l’ho scritto”. In greco “avere scritto qualcuno” vuol dire ignorarlo, non essere interessato a lui. Dunque questo modo di dire lega bene con il concetto di scrivere sul quaderno. Tuttavia, in italiano non esiste un modo di dire equivalente, per cui bisogna trasmetterne il significato con parole chiare, che non nascondano un significato implicito, ma che dispieghino il concetto affinché quest’ultimo venga ricevuto facilmente dal lettore. Quindi una buona soluzione è “non mi importa niente di lui”. Come accade spesso, esplicitando il significato di un modo di dire si perde il collegamento con il resto del discorso; in questo caso, il concetto di scrivere viene perso. Comunque è sempre meglio rendere chiaro il messaggio originale piuttosto che rischiare di perdere il nesso logico con il resto del testo.

Così il traduttore, quando si trova davanti a sfide del genere, sebbene debba sforzarsi per trovare una soluzione accettabile, ha comunque modo di divertirsi nel tradurre l’umorismo, uno degli aspetti linguistici più difficili da veicolare da una lingua a un’altra.

Il mestiere della sottotitolazione: esempi

Rieccomi! Dopo parecchio tempo di assenza, vorrei continuare a parlare in qualche modo dell’argomento trattato anche nell’articolo precedente, ovvero della sottotitolazione. Fare sottotitoli, lo ribadisco, sembra facile, ma non lo è, credetemi. Innanzitutto bisogna rispettare tutta una serie di regole tecniche e saper usare software professionali online e offline che servono appositamente a creare sottotitoli. Poi ci sono varie strategie e modalità di adattamento che un bravo sottotitolatore deve applicare. Di seguito vorrei illustrare dei casi particolarmente interessanti in cui mi sono imbattuta in un lavoro che ho fatto di recente.

Guardate l’inizio di questa frase in spagnolo, ponendo l’attenzione alla sigla:

La primera vez que di una clase,
era profesor ayudante en ESADE,

Da una rapida ricerca online, vediamo che ESADE è l’acronimo catalano di Escola Superior d’Administració i Direcció d’Empreses, un’importante business school di Barcellona.

Come renderlo nei sottotitoli in italiano?

Il problema più grande è il fatto che i sottotitoli non lasciano spazio per spiegazioni. Pensate ai libri, per esempio, dove il traduttore ha la possibilità di introdurre una nota a piè di pagina per spiegare meglio un concetto. Purtroppo nei sottotitoli questo non è fattibile, proprio per la loro natura: il testo che contengono è condensato in due righe, quindi il suo senso dev’essere chiaro, conciso e completo.

La prima volta che ho fatto una lezione,
ero assistente all’ESADE di Barcellona,

Dunque, in questo caso, ho mantenuto l’acronimo, ma siccome il termine “profesor ayudante” si riduce ad “assistente”, ho guadagnato spazio per inserire la città in cui ha sede la scuola. Così sono riuscita a dare qualche informazione in più. Notate anche che “all'” suggerisce che si tratta di una scuola. Poi sta allo spettatore fare una ricerca, se è interessato/-a a conoscere il significato dell’acronimo.

Passiamo a un secondo caso, l’inizio di una domanda:

¿Estás teniendo en cuenta
a ese ser humano único y excepcional,

Ho tradotto così:

Stai tenendo in considerazione
quell’individuo unico ed eccezionale,

Se avessi scritto “quell’essere umano”, non avrei rispettato il limite spaziale, che in questo caso era di 40 caratteri (spazi inclusi). Invece di eliminare uno dei due aggettivi o cambiare il verbo, ho preferito sostituire il sostantivo con un suo sinonimo più corto, e il gioco è fatto.

Sempre per i limiti spazio-temporali, molte volte mi capita di scrivere “pure” invece di “anche”, riuscendo così a risparmiare qualche carattere. Allo stesso modo, “questo” (o “questa”, ecc.) spesso si riduce in “il” (o “la”, ecc.) oppure in “ciò”. Così si dà al testo uno stile più formale, ma si raggiunge comunque lo scopo principale dei sottotitoli, che è quello di dare un senso compiuto in ogni sottotitolo e, idealmente, in ogni sua riga. Per questo, si cerca sempre di mettere su ogni riga una parte della frase senza separare il verbo ausiliare dal verbo principale, l’aggettivo dal sostantivo, eccetera.

Allora, pensate ancora che il lavoro di noi sottotitolatori sia facile? Ad ogni modo vi assicuro che sottotitolare può essere molto soddisfacente quando si riesce a trovare delle soluzioni adeguate. Inoltre l’idea che si aiutano delle persone a comprendere il prodotto audiovisivo originale può riempirci di orgoglio!

Alcune regole della sottotitolazione

Il lavoro della sottotitolazione implica il saper condensare e suddividere il testo orale in modo che il testo scritto risulti chiaro, conciso e di comprensione immediata. Per avere questo risultato, si devono seguire delle regole comuni e universali, anche se poi ci si deve adeguare alle specifiche di ogni azienda/cliente che impongono certi parametri tecnici.

Qui voglio illustrare alcune delle regole universali per capire meglio come funziona il mestiere del sottotitolatore. Ho preso degli esempi di sottotitoli da una clip con una scena del film “Now is good”.

Innanzitutto, è importante notare che tutti i sottotitoli sono fedeli ai dialoghi originali, quindi lo spettatore riceve le informazioni corrette. Tuttavia, la lettura gli risulta faticosa perché i sottotitoli sono segmentati male. Per segmentazione si intende una suddivisione appropriata del testo scritto in due righe, all’interno di un sottotitolo. Vediamo degli esempi concreti.

Dico solo che non devi
restare a casa per me.

Personalmente non dividerei il verbo all’infinito da verbi come “dovere”, “potere”, eccetera. Sarebbe meglio tenerli uniti e mettere i complementi nella seconda riga:

Dico solo che non devi restare
a casa per me.

Secondo esempio:

Ho preso solo
dei funghi, sono naturali.

Siccome non ci sono problemi di spazio (normalmente in una riga ci possono essere all’incirca 37 caratteri, spazi inclusi, a seconda delle specifiche del cliente), io unirei l’oggetto con la prima parte della frase:

Ho preso solo dei funghi,
sono naturali.

Posso motivare questa mia scelta anche perché la frase “sono naturali” è indipendente dal resto, aggiunge solo qualche informazione in più. Proprio per questo, è molto meglio mettere ogni frase completa in una sola riga.

Terzo esempio:

Un’amica ha
comprato la ketamina,

Qui vige la regola secondo la quale non bisogna mai dividere il verbo ausiliare dal verbo che ne segue. Pertanto il modo in cui si presenta questo sottotitolo è assolutamente sbagliato e quasi quasi confonde lo spettatore perché interrompe il normale flusso di lettura. Quindi si deve piuttosto dividere l’oggetto dal verbo, se non ci sta anch’esso nella prima riga:

Un’amica ha comprato
la ketamina,

Ancora un esempio:

ma lo spacciatore sembrava un po’
sporco, così abbiamo preso i funghi,

Qui l’aggettivo “sporco” non può non stare nella prima riga poiché quest’ultima non avrebbe un senso completo. Dunque, se aggiungessimo “sporco” nella prima riga, arriveremmo a 41 caratteri, spazi inclusi:

ma lo spacciatore sembrava un po’ sporco,
così abbiamo preso i funghi,

Per alcune aziende il limite di caratteri per riga è 36, per altre 37, per altre ancora 42. Nei primi due casi, piuttosto che spezzare l’aggettivo dal resto della frase, è meglio condensare togliendo “un po’”:

ma lo spacciatore sembrava sporco,
così abbiamo preso i funghi,

La condensazione è una tecnica che serve proprio a evitare di creare degli squilibri nella segmentazione dei sottotitoli e, di conseguenza, nella loro lettura agevolata. A volte implica la rimozione di alcune parole non essenziali per trasmettere il messaggio originale, altre volte alcune parole vengono sostituite con altre più brevi (“ma” invece di “però”, “quindi” invece di “pertanto”) per motivi di spazio.

Un ultimo esempio:

Non so quanto
ci mettano a fare effetto.

Anche qui la frase è segmentata male. Stona vedere la parola “quanto” divisa dal resto della frase. Ci sono due alternative:

Non so
quanto ci mettano a fare effetto.

Oppure:

Non so quanto ci mettano
a fare effetto.

In conclusione, guardando dei sottotitoli un professionista nota subito questi errori di segmentazione. Anzi, quando è lui a dover creare dei sottotitoli da zero, ha sempre in mente questo tipo di regole, a prescindere dalla lingua in cui scrive e dal cliente per il quale lavora. La segmentazione è un fattore chiave per ottenere dei sottotitoli fatti bene e per non affaticare la lettura da parte dello spettatore.

Sottotitoli: l’importanza di conoscere un lavoro spesso sottovalutato

Oggi voglio presentarvi il lavoro della sottotitolazione, un settore in cui mi sono specializzata e in cui lavoro da quattro anni ormai.

Dunque, la sottotitolazione è una vera e propria professione, oserei dire un’arte. Anche se sembra facile, è tutto fuorché semplice. È un processo dietro il quale si nascondono una serie di regole e di tecniche che servono a rendere la fruizione di un prodotto audiovisivo il più piacevole possibile.

Infatti, i sottotitoli migliori sono invisibili, si leggono senza essere notati poiché sono parte integrante di ciò che succede nel video. Questa è una dichiarazione citata spesso in vari studi di ricerca sulla Traduzione Audiovisiva, in questionari rivolti a spettatori. Sono proprio questi ultimi a dover leggere i sottotitoli durante la visione di un film o un documentario, cosa che può risultare faticosa. Tuttavia, se sono fatti bene, i sottotitoli non guastano proprio la fruizione, anzi, la migliorano aiutando gli spettatori a capire meglio il contenuto del video.

Ma come sono i sottotitoli fatti bene?

Innanzitutto, i sottotitoli si dividono in intralinguistici e interlinguistici. I primi sono scritti nella stessa lingua dei dialoghi, mentre i secondi in una lingua diversa. C’è poi la categorizzazione dei sottotitoli per non udenti, nei quali vengono inclusi tutti gli effetti sonori e l’identificazione di chi parla (specialmente se chi parla non si vede sullo schermo), e i sottotitoli come supporto per imparare una lingua straniera. Comunque, nel caso in cui i sottotitoli si debbano tradurre, sempre più di frequente le aziende mettono a disposizione dei sottotitolatori un template, cioè un file già sincronizzato e suddiviso in sottotitoli. Normalmente il testo è in inglese e i sottotitolatori non devono fare altro che tradurlo, senza cambiare i tempi di entrata e i tempi di uscita dei sottotitoli, né unire o suddividere questi ultimi. Questo serve ad avere un prodotto finale uguale in tutti i Paesi in cui si esporta. Quando si parla di template, il dibattito si accende. Se a prima vista questa modalità sembra rendere il lavoro dei sottotitolatori più semplice, in realtà lo complica: ci sono lingue le cui parole sono più lunghe rispetto a quelle inglesi, per cui il testo tradotto non ci sta tutto. I sottotitolatori, non potendo cambiare i tempi e il numero dei sottotitoli, si riducono a dei meri traduttori e non possono mettere in atto le loro competenze tecniche. Pertanto, o il contenuto dei sottotitoli viene ridotto ulteriormente, o i sottotitoli risultano segmentati in modo sbagliato (sulla segmentazione, si veda più avanti). In ogni caso, i sottotitoli sembrano fatti male oppure sembra che al loro interno manchi qualche informazione percepita dai dialoghi.

Oltre a questa categorizzazione, ci sono delle linee guida ben precise da rispettare, create dalle aziende che danno i video da sottotitolare a dei professionisti. Queste regole hanno a che fare con i caratteri per riga, la durata minima e quella massima dei sottotitoli (di solito si va da 1 a 6-7 secondi), la velocità di lettura, le abbreviazioni, eccetera. Comunque c’è da dire che quasi sempre i caratteri per riga vanno dai 37 ai 42 poiché l’occhio umano non potrebbe seguire la lettura con molti più caratteri (com’è stato dimostrato da vari studi tramite eye tracking, un processo che monitora i movimenti oculari).

Fatte queste premesse, il sottotitolatore deve tenere in considerazione varie strategie per rispettare le regole e garantire la massima leggibilità dei sottotitoli. La più importante di queste strategie è la condensazione, ovvero scrivere in modo conciso il messaggio originale. Questo comporta la riformulazione della frase, ma anche l’eliminazione di ridondanze e altri elementi non importanti ai fini della trama. Oltre alla condensazione, si deve applicare una buona segmentazione. Questo significa che nei casi di sottotitoli con due righe non si deve separare il sostantivo dall’aggettivo, il verbo dall’ausiliare, il soggetto dal verbo, eccetera. Inoltre, ove possibile, la seconda riga dev’essere più lunga della prima per una maggior ricettività da parte dello spettatore (anche questo è stato dimostrato grazie all’eye tracking).

Esempio:

SBAGLIATO ✖️

Oggi ho mangiato un buon
panino per pranzo.

CORRETTO ✔️

Oggi ho mangiato
un buon panino per pranzo.

In poche parole, ogni sottotitolo, che abbia una o due righe, deve costituire un’unità di senso, deve cioè avere un senso compiuto. Così gli spettatori ricevono il messaggio in modo diretto e immediato, anche perché non possono tornare indietro e recuperare qualche informazione. Questo è un aspetto molto importante della Traduzione Audiovisiva: un video non è come un libro dove si può facilmente tornare indietro e rileggere qualcosa, nel video c’è molto movimento, avviene tutto velocemente e per questo il testo scritto nei sottotitoli dev’essere il più chiaro possibile.

Vi ho esposto alcune delle cose da tenere in considerazione quando si sottotitola. Vi sembrano tante? Eppure dovete sapere che i sottotitolatori non solo devono adattarsi ogni volta alle regole del cliente e applicare diverse strategie, ma quasi sempre hanno pochissimo tempo per svolgere il loro lavoro e in più vengono remunerati miseramente. Soprattutto a causa della mancanza di tempo e della pressione che subiscono, spesso e volentieri non consegnano un lavoro perfetto, c’è sempre qualche imperfezione che può sfuggire loro. Per questo in teoria c’è il revisore che controlla e corregge il lavoro del sottotitolare. Ho scritto “in teoria” perché non sempre le aziende assumono questa figura, con l’obiettivo di risparmiare tempo e denaro. Così preferiscono dare un’occhiata veloce loro stesse al lavoro finale, ma questa è solo una formalità, soprattutto perché incombe la consegna o la messa in onda del prodotto. Di conseguenza, purtroppo, gli spettatori finiscono per usufruire dei sottotitoli che, in condizioni più favorevoli per tutti, avrebbero potuto essere di una qualità migliore. Senza questa fretta perenne ed eccessiva, sono sicura che si vedrebbero in giro più sottotitoli fatti bene.

Quindi la prossima volta che vedete un programma sottotitolato, pensate a quanto lavoro sottostimato c’è dietro quei sottotitoli…