– Perché i cacapo profumano come il miele?
– Per poter trovare dei compagni.
– Ma perché il miele? Chi…
– Oh, qualcuno ha un buon profumino!
– Ho capito!
– Ho un debole per quelli positivi a quattro zampe.
In questa vignetta di Guy Kopsombut la traduzione fila liscio fino all’ultima battuta. Lì c’è la parola inventata “pawsitive”, composta da “paw” (zampa) e “positive” (positivo). Siccome in italiano le due parole sono molto diverse, non si potrebbero unire allo stesso modo.
Per far fronte a questa impasse, si può ricorrere alla trasposizione letterale, ovvero all’adattamento diretto dei fattori responsabili dell’effetto umoristico. In questo esempio si mantiene il riferimento a “positivo” e le zampe diventano quattro poiché alludono all’orso. Qui si vede come il codice visivo gioca un ruolo fondamentale nella scelta traduttiva.
Tuttavia, come si vede nella parte del dialogo evidenziata in grassetto, tale strategia quasi sempre richiede molto più spazio. Questo può essere un problema perché la nuvoletta che include la battuta non è abbastanza grande.
Il problema diventa ancora più grosso quando si traducono i sottotitoli, dove i limiti spazio-temporali sono molto stringenti. In altre parole, in ogni riga di un sottotitolo c’è un limite massimo di caratteri da rispettare che a loro volta influiscono sulla velocità di lettura, un valore che, se troppo alto, non agevola lo spettatore il quale rischia di non fare in tempo a leggere tutto il testo. Dunque, se si traducono letteralmente singole parole inglesi, spesso e volentieri la versione italiana esige l’impiego di molte più parole. Per esempio “moonwalk” si traduce per forza con “passeggiata sulla luna”. Capite anche voi semplici spettatori che una traduzione così lunga può occupare troppo spazio in una riga di un sottotitolo!
Infine, per tornare alla vignetta in questione, un’altra soluzione per tradurre “pawsitive” potrebbe essere quella di creare un neologismo anche nella versione italiana. Si potrebbe pensare a “Ho un debole per i zampopositivi” … che ne dite? La parola inventata “zampopositivi” potrebbe essere un ottimo equivalente per “pawsitive”.